lunedì 16 ottobre 2017

[Live Report] Dear Reader @ Clandestino, Faenza


Il Clandestino, a Faenza, è un posto strano.

Da fuori, pare un bar. Un lungo tavolo, sulla sinistra, ne suggerisce chiaramente l'impronta di luogo per bere, con un certo gusto.
Sulla destra però, una piccola sala ("ristorante") una cucina (definibile acquario, totalmente di vetro trasparente) e una zona live con palco piccolo ma curato fanno pensare a qualcosa di più: un luogo, ecco.
La sala biliardo, a fondo sala, il bagno a cui si accede da una specie di porta finestra e la rampa di scale che porta ad una intima zona sopra elevata e che passa incurante tra la fine dell'acquario e il palco, fanno pensare a sei o sette pezzi, dal design in parte pure diverso tra loro, incastonati tra loro, che creano un qualcosa di nuovo.
Funziona però: certo, se chiedi qualcosa sul concerto, ti rispondono di chiedere alla persona che organizza la parte artistica, e se la cerchi dal vivo scopri che è quella signora che sta cucinando per tutti e che con fare vagamente burbero ti dice che se vuoi fare due chiacchere con la cantante del gruppo, puoi andarci, mica è di sua proprietà.
Sembra un luogo comunista, in sostanza, degli anni ottanta, di gusto ma non elegante, dove mangi bene anche se non sembra, dove c'è qualità in cocktail ed alcolici, ma la clientela è più quella del bar del centro di Faenza.
Fatto sta che, siamo qui, in questa allegra città, per chiudere un cerchio, aperto da otto anni, da una incantevole apertura datata 2009, al Covo di Bologna, prima di Get Well Soon, chiamata Dear Reader.
Una volta progetto a due, ora in sostanza solista di Cherilyn Macneil, una ragazza piuttosto dolce ed intensa, letteraria in un qualche modo, che viene dal Sud Africa, vive a Berlino e gira in un tour con una batterista russa, una tastierista americana e un violinista della Sardegna: cose che solo la musica può regalare, è una certezza.


E insomma, visto che Dear Reader, in fondo, avevo provato a farla suonare io, a Ferrara, senza riuscirci, e che siamo venuti in contatto via mail, ci vado, al "ristorante" a disturbare questa Cherilyn per farci due chiacchere.
Un quarto d'ora è troppo da riportare parola per parola, ma diverse sono le cose interessanti che ci siamo potuti raccontare.

In una intervista che leggevo venendo al concerto, dove ti chiedevano quanto fosse coraggioso mettersi così a nudo in una canzone, rispondevi che non lo è tanto scrivere la canzone, quanto pubblicarla e cantarla in pubblico.
E non vorrei chiederti come scrivi le canzoni, lo fanno tutti, sarebbe noioso, ma perchè scrivi una canzone, cosa ti porta, ora, oggi a scriverla.
Sai, dipende. Alcune volte, semplicemente arriva. Non so esattamente come, perchè la sto cantando, in un qualche modo arriva. 
Ma è una immagine, un sogno, una poesia?
E' qualcosa che già esiste, in un qualche modo la prendo e la faccio mia. Certo, qualche volta è qualcosa di più deliberato, quando ho scritto Rivonia avevo deciso di scrivere un album in quella maniera, di parlare di quell'argomento, mi sono seduta e ho deciso di farlo: è un'altra maniera ancora.
All'inizio è sempre qualcosa che nasce per me, non penso ad altro.
Certo, con il tempo si può provare a mettersi seduti e decidere di scrivere musica, ma è sempre qualcosa che nasce da un'esigenza, di profondo.
Non è come dire "scrivo una canzone per la radio", non è facile nemmeno decidere che tipo di musica possa uscire. Ad esempio a me piacciono anche altri generi musicali, anche musica più pesante, ad esempio, conosci i Deerhoof?
Certo!
Ecco, mi piacciono, però non è che sono in grado di decidere che tipo di musica posso scrivere, quel suono non lo potrei scrivere io.
Possiamo dire che ci sono cose che ci piacciono e cose che possiamo produrre, non sempre coincidono.
Esatto, si. In un qualche modo è come se questa fosse la mia voce unica per il mondo.

Parliamo della linea, durante questi anni di carriera, dall'esordio datato 2008 all'ultimo disco, Day Fever  e di come l'evoluzione di questo percorso sia un pò lo specchio della crescita, del diventare donna.
Questa totale onestà, questo mettersi a nudo mi fa venire in mente di chiederle che sensazione è, come ad esempio questa sera, suonare in un piccolo locale, davanti a cinquanta o cento persone, che probabilmente faticheranno a capire i testi, quanto è difficile mettersi a nudo in questo modo.
Cheryl racconta come a suo modo possa essere più semplice, ma allo stesso tempo descrive l'importanza delle parole nel percorso artistica, almeno il 50% del significato della canzone è nelle liriche e si augura che anche di fronte ad un pubblico non madrelingua possa in qualche modo trasmettersi l'energia, arrivare la sensazione di ciò che viene cantato.
Mentre ero in macchina pensavo: non voglio chiederle, come si fa sempre, con quale artista vorrebbe collaborare. Quello che ti vorrei chiedere è: qual'è l'artista con cui vorresti collaborare..ma che non ammetteresti mai? Qual'è il tuo guilty pleasure?
L'artista che quindi non ammetterei mai? 
Si, tipo Justin Timberlake.
Oddio, no! (ride).
E' troppo facile dire Bjork!
Non saprei. Da una parte mi viene in mente una passione della mia infanzia, la band Chicago. La band vecchia! Dall'altra parte... pensandoci...forse il mio guilty pleasure sarebbe cantare in un musical!
Oddio, quelle cose in cui la gente inizia a cantare da un momento all'altro, sale sul tavolo e balla, senza motivo.
Si! Il mio preferito è My Fair Lady!
Parliamo quindi della sua passione per i vecchi musical. Le racconto del mio orgoglio, lo scorso anno, nel portare mia moglie a vedere La La Land, pluripremiato e il suo totale sdegno e non apprezzamento (nemmeno Cheryl è riuscita a vederlo) e conveniamo su Chicago, raro esempio di musical in grado di piacere veramente a tutti.
Le consuete chiacchere sull'ottimo cibo italiano, che quasi ti obbliga a riempirci di cibo portano a racconti di artisti passati da queste parti con evidenti segni di apprezzamento verso la nostra cucina (non ne faremo i nomi, per preservare l'aura del grande nome).
E poi è ora del live (vabbè, arriveranno le ore 23, ma la battaglia per iniziare i concerti ad umano orario, almeno durante la settimana, è persa in partenza).
Un live che racconta una bella conferma di una ottima voce e di una proposta particolare, un cantautorato dalla buona scrittura, dagli arrangiamenti importanti e dal suono pieno che dal vivo viene reso con tutti e tre i musicisti di supporto ad aggiungere le proprie voci.
La setlist si muove con importanza verso l'ultimo disco, senza dimenticare la recente cover di Beck  a sparigliare un pò le carte, e diversi estratti dal passato, come la bellissima e forse più celebre Down Under, Mining tra le punte più preziose di un ottimo live che soffre forse solo di un pubblico un pò distratto.
Ma ci sta, è mercoledì sera, l'ingresso è gratuito e la sensazione è che sia stato un regalo apprezzato da quella piccola fetta di pubblico che era, quella sera, al Clandestino, per Dear Reader.
Un gioiellino art/pop di cui non si parla troppo ma che ha fatto veramente piacere rivedere.










sabato 2 settembre 2017

[Live Report] Home Festival - Giorno 1 - 31/8



Non è nemmeno, spero, necessario l'abusato discorso che potremmo riassumere in festival/italia/mondo. Ovvero: siamo una rara anomalia, l'unico paese forte (e non) che pure non è in grado di avere almeno una rassegna musicale, di più giorni, con più palchi, di livello internazionale, capace di richiamare qualche decina di migliaia di persone, sotto "lo stesso tetto".
No. Noi chiamiamo festival la rassegne mono concerto che si svolgono in due mesi, le due sere consecutive con headliner e gruppo spalla, spesso chiamiamo festival una giornata unica con più band.

Chi è stato all'estero, non solo nelle ridenti Inghilterra o Spagna, ma anche in Polonia, Germania, Francia, Norvegia, Islanda, ovunque, sa che invece esistono questi più o meno bellissimi non luoghi, che diventano luoghi, in grado di accontentare più gusti, più età e più generazione e fare vivere alcuni giorni consecutivi, assieme, con l'idea di musica e stare assieme.
Nei casi migliori, senza nemmeno sapere chi suonerà al momento dell'acquisto del biglietto, perchè si è appassionati e si sa che si troverà sempre qualcosa di bello.
Da un pò di tempo c'è una piccola, parziale eccezione e si chiama Home Festival.
Non è ancora quello di cui sopra, ma si legge, nelle line up, negli spazi, nei prezzi, l'idea di aumentare anno dopo anno l'offerta per diventare qualcosa di cui sopra, ovvero un Festival, con la effe maiuscola.
Avevamo già seguito l'edizione 2015, nella sua prima e più interessante giornata  e abbiamo avuto la possibilità di tornarci quest'anno.

Prima di tutto, gli spazi: Home Festival è poco fuori Treviso, una medio grande arena polverosa, con un palco centrale di livello assoluto, due tendoni coperti per i concerti di medio livello, un altro paio di tendoni fondamentalmente per dj set ed elettronica, un piccolo ma forse sottovalutato parco all'aperto e tanti ulteriori spazi da vivere: aree cibo, aree relax, piccole bancarelle, area skate, un paio di terrazze, tutto organizzato con una certa precisione: i rifiuti vi vengono quasi tolti dalla mani e messi personalmente nel bidone giusto della differenziata, il sistema dei token è umano (con possibilità di rimborso a fine serata di quelli rimasti) l'acqua è gratuita per chi vuole, i bagni presenti e c'è pure un piccolo Home Garden per chi vuole fermarsi in tenta durante il festival.
Insomma ci siamo, piacevolmente e con diversi miglioramenti logistici rispetto all'edizione 2015.

Poi c'è la musica.

Nel nostro caso, inizia nel piccolo palco Home, con I'm Not Blonde (6,5), duo milanese, matrice elettro pop, ci credono talmente tanto che finisci per crederci pure tu. Proposta in realtà musicalmente semplice ma un impatto live divertente e capace di attirare l'attenzione: sono lo studente che non prenderà mai dieci, ma vince di simpatia.
Dal palco piccolo a quello enorme che ospita, un pò in sordina, a inizio serata, i The Horrors (7,5).

La sensazione è quella di tanti gruppi con le chitarre oggi, purtroppo fuori fuoco in un'epoca che si è spostata su altri suoni, eppure, fedelissimi a sè stessi, mettono in piedi un set potente, sicuro e di gran qualità. Migliorati anche rispetto a quando li abbiamo visti all'Estragon, presentano in chiusura anche il nuovo singolo Machine, che ben figura.
Sono quello che potrebbero essere i Joy Division oggi, non se li filerà quasi nessuno, ma fanno la loro gran figura.
C'è un pò di pausa e esce quello che almeno per questa serata (ma anche le successive, da scaletta) è un difetto abbastanza chiaro nella logistica degli orari: in diversi momenti della serata ci sono band che partono in contemporanea e momenti di quasi ferma. In sostanza, rarissimi i set sfalsati, costringendo a scegliere, invece magari di godere di show parziali, che pure in queste occasioni è una scelta accettabile.
E questo porta anche a potenziali congiunture di pubblico, che si muove negli stesso orari da un palco all'altro: ieri l'affluenza non era colossale, se lo fosse stato, poteva creare disagi.
C'è comunque modo di respirare l'essenza di Demonology Hi-Fi (6)
progetto di Ninja e Max Casacci, ovvero molto dei Subsonica, che con il buon amore per la band principale, suonano davvero all'antica: jungle e bassi a profusione per un suono di metà anni novanta. Oltre al loro materiale, reinterpretano qualcosa, come Aurora Sogna e Disco Labirinto: così così, ma c'è chi balla.
Così come c'è molta gente ad attendere quelli che sono un pò gli headliner, i Duran Duran (6?).
Un paio di generazioni in ascolto, con maglietta e indole da fan a cui non interessano altro che Le Bon e soci, per una esibizione energica e compiaciuta. Il frontman pare avere ancora 40 anni, da parte di chi scrive, a parte un paio di intuizioni pop, non paiono niente di indimenticabile, ma rispettiamo il pubblico.
Siamo in crescere e arriviamo alla parte centrale della serata.

Piuttosto interessante e raffinata "l'apertura" di Godblesscomputer (7) di cui evidentemente è il caso di recuperare un pò di discografia. Chill wave di classe, ritmi un pò rallentati, una certa eleganza di fondo che fanno ben disporre e ci preparano al live più atteso della serata.
Ci sono i Soulwax (9)
nome che si poteva pensare quasi disperso e invece tornato prepotentemente in scena quest'anno con From Deewee, nato da una quasi jam session in studio e che si presenta con tre (!) batterie, macchinari e tastiere di ogni tipo.
Tanto dell'ultimo disco e una Ny Excuse a ricordare il passato, in mezzo un'ora totale di ritmi, percussioni, onde sonore, capaci di suonare tanto rock quanto elettronica.
Il miracolo tiene anche live, anzi, si accentua: potentissimi i brani, con l'innesto di Igor Calavera alla batteria e mostra un pò in giro che anche certi generi musicali si prestano bene ad un approccio live.
Sinceri applausi.

Siamo in fondo: l'Istituto Italiano di Cumbia (7) collettivo di nove artisti capitanati di Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) porta parecchi sorrisi e balli, con la sua cumbia, qualcosa dei 99 posse più ritmici, un patchanka sonoro che ben si presta ad un festival.

E in conclusione, sarebbe tra i più attesi, ma noi li abbiamo già visti, c'è l'ultima data prima di una lunga pausa di Moderat (7), nel tendone più grande.
Questa volta li ascoltiamo con distacco, con la mente al live dei Soulwax, confermandone le qualità compositive, i bei visual ma anche una certa freddezza dove il live è quasi solo il canto e che poco aggiunge ai bei dischi prodotti in questi anni da questa fusione che è diventata quasi progetto principale.
Solo un pò freddi, ecco.


Finisce qui, la lunga giornata all'Home Festival, con le prime gocce e un cielo quasi a giorno pieno di lampi e fulmini, preludio di un maltempo, vento e pioggia che provocheranno nella prima mattinata danni tali da dover far cancellare il giorno 2 dagli organizzatori, contando di sistemare tutto in tempo per le serate di sabato e domenica.

Insomma: il bilancio non è affatto male, Home Festival.
Spaziare tra più generi (non abbiamo nè citato nè visto, ad esempio The Bloody Beetroots e Frank Carter & The Rattlesnakes), proporre più palchi e offrire spazi, logistica e "confort" di qualità non sono cosa da poco e la crescita di anno in anno fanno comprendere che l'ambizione c'è e le capacità pure.
Contiamo allora di esserci nuovamente nei prossimi anni, con il sogno di una line up sempre più vicina a quelle di livello europeo, con un pubblico che sappia crescere di pari passo e seguire l'avventura.
Diciamo ancora sottovoce, ma forse, in qualche anno, potremmo pure avere anche noi "il festival".






venerdì 21 luglio 2017

[Live Report] Le Luci Della Centrale Elettrica + Colombre @ Ferrara Sotto le Stelle


Felice da fare schifo.
E' una delle magliette al banchetto, una delle intuizioni letterarie di Vasco Brondi (qui a Ferrara è Vasco Brondi, in Italia è Le Luci della Centrale Elettrica) e chiude in quattro parole un concerto, una sera.
La domanda sta nella prospettiva: sta crescendo Vasco? Cosa è oggi?
Perchè per noi, per quelli del demo, per quelli delle date da lui citate in provincia di Ferrara, per quelli dei reading, dell'urgenza espressiva dei primi due album, per noi che "cosa racconteremo ai figli che non avremo", ora una figlia ce l'abbiamo.
E ora anche noi abbiamo passato i trent'anni.
Siamo ancora a vedere il Brondi, capace di evolversi, scrivere un disco meraviglioso chiamato Terra e che sa di viaggio, di migranti, di ballate, di sentimenti, di cinque continenti racchiusi in pochi brani.
E siamo a vederlo con la barba lunga, una maglietta, la chitarra spesso e volentieri appoggiata, una band dietro a suonare a lui a ballare e cantare sul palco.
Quel suo parlare strascicato, incerto, involuto ora, pur rimanendo di sfondo, è diventato sicurezza, gioia, tranquillità nel raccontarsi.
Vasco Brondi (non) cantava immagini di un cupo futuro, poi ha cantato il cupo oggi e le difficoltà, poi ha iniziato a cantare in tutti i modi per liberarsi da sè stesso e ora canta per il piacere di farlo.
Felice da fare schifo.
Canta quasi più da Costellazioni (che pure, ora, mi pare il disco più incerto) che da Terra, canta una Macbeth nella nebbia che doveva uscire così su disco, canta Piromani come faceva al Korova un milione di anni fa, canta Chakra che pare poter essere la storia d'amore meno convenzionale che tutti vorrebbero raccontare (l'incertezza).
Chiude con Nel Profondo Veneto, che ha il testo della violenta morte dei sogni, sui cori africani della speranza.
E' dissonante così, anche alla fine, con il suo pubblico di chi ha cinquanta anni e chi nemmeno diciotto e passa il tempo a baciarsi con la foga di pensa che quell'istante, quella sera, quel concerto sia il momento perfetto di una vita (dico a voi, coppia davanti a me, eravate felici da fare schifo).
La sensazione  (e lui cantava la nostra disillusione!) è che quel pezzetto di pubblico di stasera, il popolo di Brondi sia pienamente con lui, un'anomalia genetica di serenità, canta altri versi ma se ti giri e guardi bene leggi tra le labbra "ce la faremo" "il mondo può andare avanti".
Vasco ha smesso di avere paura nel momento in cui ha iniziato a viaggiare e conoscere il mondo; mentre noi stiamo insegnando ai nostri figli ad avere paura, se solo non lo conosciamo.
Io ho visto questo ieri: la voglia di abbracciarsi.
Non ho visto un concerto perfetto, non mi è piaciuto che il suono vibrasse così poco, che la batteria non colpisse pesante, che le chitarre a volte non sferzassero.
Ma poi riflettendoci, era che sbagliavo prospettiva.
Non era quella data zero al teatro comunale, non erano bassi, chitarre e archi.
Non c'era imponenza ieri.
Vasco era venuto a piedi.
Felice da fare schifo.





Setlist
Coprifuoco
Qui
Stelle Marine
Macbeth nella nebbia
Quando tornerai dall'estero
La Terra, l'Emilia, la Luna
Ti vendi bene
Questo scontro tranquillo
I Sonic Youth
Una cosa spirituale
Waltz degli scafisti
Cara catastrofe
40 km
Piromani
Un bar sulla via Lattea
Chakra
Le ragazze stanno bene
I destini generali

Encore:
A forma di fulmine
Nel profondo Veneto

lunedì 10 luglio 2017

[Live Report] Sohn @ Anfiteatro del Venda

Per prima cosa: l'Anfiteatro del Venda non è un anfiteatro.
Non è uno spazio. E' un'invenzione e ne stiamo parlando in positivo.
Vai verso Padova, svolti verso le terme euganee, poi ad un certo punto inizi ad arrampicarti per cinque o sei chilometri come fosse una gita di montagna, tornanti, curve secche, strada che speri sempre più di non incontrare una macchina in senso inverso.
Il navigatore però è sicuro di sè stesso.
Trovi un ragazzo che ti dice: svolta a sinistra, arriva in fondo, gira la macchina e parcheggia nel primo posto libero, così siamo già in fila per la discesa.
Scendi dalla macchina, 3 minuti a piedi dove realizzi di essere nel niente, tra le colline venete, le viti, i paesi con le luci in sottofondo in una serata fresca.
Poi una salita ripida, le luci come fosse un festival di una volta, una baracchina con vino, birra e panini e arrivi all'Anfiteatro: ovvero una conca naturale, il palco in basso, la gente seduta attorno dove vuole, il panorama sullo sfondo.
Come sia venuto in mente non è dato saperlo, quanto funzioni bene sarà provato nel corso della serata.


Detto questo, eravamo qui per la musica, sentiamo un paio di pezzi di Santamanu, che sta chiudendo il suo set di apertura e poi ci lasciamo coinvolgere dal buon set di L I M, ovvero il progetto solista di Sofia degli Iori's Eyes. 
Che è nei dintorni della proposta di sohn, ovvero un pop elettronico e ben prodotto, con una voce che a volte è canto e a volte strumento, ritmi a volte dilatati a volte più raccolti: piacevole.

Ma siamo qui per Christopher Taylor, in arte Sohn, inglese ormai stabilito a Vienna e esponente di quel genere non bene definibile ma chiaro nato da James Blake in poi.
Nel suo caso un pò meno lavoro sulla voce, che dà l'idea di una produzione meno digitale rispetto a Blake, di melodie che spesso nascono da tastiere e pianoforte e vengono poi arricchite di elettronica intorno.
Se il primo album era pieno di ottimi brani e il secondo non è da meno, valeva la pena di vederlo dal vivo? Si e ancora si.
Perchè (quasi contrariamente alle aspettative) il live è probabilmente il live che quasi nessuno ha visto ma che meritava di non essere perso in questa estate.
Forse trecento persone hanno potuto assistere alla perfetta messa in scena dei due album (generosa la scaletta, che ha toccato gran parte della produzione discografica), in formazione a 4, con due batterie e led luminosi davanti agli strumenti, a formare un anello di suoni e luci dietro al cantante, con il consueto cappello, al centro del palco.



Una voce perfetta, lo scenario unico, un pubblico in attenta contemplazione hanno contribuito man mano a far pensare: ma perchè siamo così pochi?
Ne esce una scrittura ottimale, una band capace di fare uscire il suono al suo meglio, momenti intensissimi come Rennen / Falling, dall'ultimo album. O come la brillantezza di Lights e Lessons, dall'esordio.
Ne esce potensissima Hard Liquor, che magari su disco è solo una bella apertura ma live rimane impressa per un paio di giorni buoni.
Bassi intensi e delicatezza vocale, grande scrittura fanno emergere Sohn dalla media, era una idea maturata su disco ma la certezza è che dopo il live, chi era presente, terrà pienamente in considerazione questo ancora giovane artista.







venerdì 16 giugno 2017

[Live Report] Radiohead + James Blake + Junun

Io avevo credo diciotto anni. O diciannove.
Forse il primo è giusto per la data di annuncio, il secondo per la sera stessa.
Ora ne ho trentadue, vivo in un altro posto, ho moglie e figlia.
Però non è cambiato così tanto: sono i Radiohead.
Ognuno di noi ha una o due band che tracciano l'esistenza, con cui sono cresciuti e di cui poi magari diventi meno "ansioso", all'annuncio di un disco o un tour rispetto a qualcos'altro, però poi ci sei.
Ci sei, perchè sono i Radiohead che per una serie di persone sono il simbolo: l'indipendenza, l'emozione, la grinta e la dolcezza, l'aticipità.
Per noi i Radiohead sono i Beatles per chi li ha visti all'epoca, con la consapevolezza che erano i Beatles.
Perchè sappiamo che loro sono grandi, immensi.
Certo, pensare che tanti anni fa la location era la mia Piazza Castello di Ferrara, piccola (e forse mai più piena di così) e ora è un enorme ippodromo, dicono pieno di cinquantamila persone.
Al di là dei numeri, meravigliosamente tranquillo nella zona chiusa davanti (vabbè, il pit, roba che "noi" mediamente non conosciamo, per altri tipi di concerti) graziato da qualche nuvola e immensamente più tranquillo di quella prima volta, è stata comunque magia.

Non indifferente all'"assurdità" di Junun, regalo del Greenwood che si unisce a questi indiani con baffi e turbante, meravigliosi strumentisti quanto lontani dai nostri suoni (ma assolutamente apprezzabili), il primo momento di magia è James Blake.
Io che, qualche anno fa, andai in una specie di data zero a londra, un centinaio di persone in una biblioteca, per assistere alle prove prima del rilascio del secondo disco, conscio che un'arena enorme, all'aperto, col sole alto, non è la location perfetta per Blake, dico ottimo, ottimo.

Certo è un tipo di proposta che magari soffre alla distanza, ma illumina per gran parte del live di eleganza, bassi prodigiosi, una voce sopra le righe e pure un inedito che si fa piacere assai.
E' un fenomeno, anche se forse se ne rendono conto meno di quelli che dovrebbero.

Poi, in orario, ecco loro.
Daydreaming è la canzone con cui si è addormentata mia figlia nei suoi primi mesi, ora è l'apertura delicata del live, con mille luci che si diffondono e iniziano a raccontare un concerto, come poi per il disco, che parla di un gruppo che si mostra in pace con sè stesso.

Una scaletta volendo illogica, passaggi indietro e avanzi, regali al pubblico, saluti in italiano di Thom Yorke, un pubblico che è cresciuto rispetto ad anni fa e non poga ossessivamente (e Idioteque ora è diversa).
Però, come sempre le chicche sono momenti meravigliosi.
Myxomatosis, direi un inedito per i miei concerti.

Let down, un inedito per molti e un brano assolutamente sopra le righe, ma non c'è bisogno di dirlo.
You & Whose Amy, di un'altra categoria.
Paranoid Android, dove il pubblico e la band sono una sola cosa.
Quel consueto, ma irreale silenzio su Exit Music, dove potresti sentire un bicchiere cadere e sei in un'arena di cinquantamila persone, sotto un enorme palco.
Fake Plastic Trees, che ricorda The Bends e uno di quei brani che per una band normale valgono una carriera, mentre per i Radiohead è stato forse il secondo inizio dopo Creep.

Insomma: meno sconvolgente di una volta? Certo, perchè era la quarta.
Meno bello? No.
Meno magico? No.
Perchè sono i Radiohead, i brividi ci sono stati, la magia è ancora presente.
Siamo tutti più grandi, ma siamo ancora uniti.


Setlist
Daydreaming
Desert Island Disk
Ful Stop
Airbag
15 Step
Myxomatosis
Lucky
Pyramid Song
Everything in Its Right Place
Let Down
Bloom
Identikit
Weird Fishes/Arpeggi
Idioteque
The Numbers
Exit Music (for a Film)
Bodysnatchers

Encore:
You and Whose Army?
2 + 2 = 5
There There
Paranoid Android
Street Spirit (Fade Out)

Encore 2:
Lotus Flower
Fake Plastic Trees
Karma Police

martedì 21 marzo 2017

Cinque su Cinque #5

Quinto appuntamento, per la rubrica di piccole segnalazioni.
Ce ne sarebbero altrettante, quindi vedremo di ripeterci presto.

Sampha - Blood On me


Già produttore per molti nomi noti, Sampha classe 88, decide di entrare in scena con il proprio nome.
Sulla scia, certo, di certo soul moderno, se vogliamo chiamarlo così (da James Blake in giù) ma con un intimismo e sincerità che colpiscono.
Non un disco da grandi platee, ma alcuni punti di luce che meritano la menzione.

Brunori Sas - Lamezia Milano


Diversi artisti italiani hanno dato alle stampe il loro disco in questi mesi.
Molti raccontano l'oggi: Brunori riesce a farlo perfettamente e scrive il suo disco migliore.
Si muove su differenti tonalità, tra ironia e lucida visione ("l'uomo nero").
In Lamezia Milano scrive uno di quei brani che si potrebbero ballare in spiaggia (vabbè) senza accorgersi che l'autore sta descrivendo esattamente tu che balli in spiaggia senza osservare ciò che ti succede intorno.Con il terrore di una guerra Santa / e l'Occidente chiuso in una banca. / Io me ne vado /in settimana bianca, / bianca. / Con la metropoli che ancora incanta / e la provincia ferma agli anni / ottanta. / L'Italia sventola la bandiera bianca / e canta, e canta.

Le Luci della Centrale Elettrica - Coprifuoco
Vasco Brondi al quarto album azzecca tutto o quasi. Lui che era partito "con un disco dei vent'anni, di Ferrara" scrive ora il disco dei trent'anni, del mondo. Amplia lo spettro sonoro, africa, sud america, europa, oriente, descrive le sensazioni ed i profumi di un mondo oggi.
Un disco che chiama terra, ma si dovrebbe chiamare "muoversi", perchè racconta di migranti, passi, città straniere, movimenti in Italia stessa ("nel profondo veneto").
Il disco migliore e la nuova conferma della capacità, quasi insperata, di andare sempre avanti musicalmente e a livello di testi.
Sinkane - Passenger


In tutta sincerità, Sinkane io lo conosco perchè da qualche parte Lcd Soundsystem, anni ed anni fa, ne consigliò uno dei primi brani (Jeeper Creeper).
L'ho sempre tenuto un pò d'occhio, grazie a quel brano, pur consapevole che per il resto non aveva ancora sfoderato tutto il suo talento.
Eccoci arrivati: Life & Livin It è un gioellino di pop venato di quella Africa (Sudan) dove ha vissuto prima di approdare negli Stati Uniti.
Un disco che sa di già sentito, vero, ma distribuisce una purezza melodica, un senso del ritmo e non sbaglia un colpo.
Diciamolo: per andare al mare, la prossima estate, con il vento sulla faccia, questo è il disco.

Spoon - Do I Have to Talk To You


Bentornati, carissimi. Passati tre anni dal buon disco precedente, ecco Hot Thoughts.
Che non fa nulla di diverso dal continuare a promuovere questa splendida idea di pop-rock music, dalle melodie apparentemente semplici ed invece stratificate, instintive eppure ragionate.
Nulla di nuovo, ma fa sempre piacere.


venerdì 20 gennaio 2017

Cinque su Cinque #4

Inizia l'anno nuovo ed ecco che si muovono molti big: l'anno che arriva è pieno di ottimi ritorni e attesi esordi.
Buttiamoci allora in pista, con cinque segnalazioni.

Baustelle - Eurofestival

Il nuovo disco dei Baustelle è una piccola festa pop, che si libera dell'aria orchestrale del precedente (e splendido) Fantasma. Questa volta si torna alla semplice scrittura di brani: non il disco della carriera, ma una qualità semplicemente altissima. Per non rimanere sullo scontato con il singolo Amanda Lear, partiamo da Eurofestival, dove si dice "via / via / portatemi via / dal festival" per un brano che al festival ci starebbe eccome.



London Grammar - Rooting For You

Un altro atteso disco per una band capace di fare tantissimo con un solo disco d'esordio. Questa volta in pratica fa tutto Hannah Reid, che si gioca quattro minuti e mezzo di voce e leggera (poi in aumento nel finale) orchestrazione.
La si ascolta due volte e poi la si ama all'infinito.



Sohn - Rennen

Sembra che Sohn sia riuscito a fare il secondo disco al livello del primo. Non è poco, visto che a parere di chi scrive l'esordio era uno di quelli da ricordare di questi anni.
Se pure è vero che si sconta il normale effetto ripetizione ci sono almeno metà dei brani in cui la classe esplode.
Al momento la sensazione è che Rennen sia uno di questo, un quasi auto-duetto intimo quanto emozionante.
Una menzione anche per il colpo di coda del disco, Harbour, che pare destinata alla consueta, lenta conclusione di molti dischi e poi esplode in una delle melodie sintetiche più belle degli ultimi anni.


The Shins - Name For You

Cinque album (con questo) in venti anni quasi di carriera, per la band di James Mercer.
Che sono di quelle a cui si pensa poco, che non riempono le platee.
Ma di cui poi ascolti con maggiore felicità i dischi.
E anche stavolta piazzano il primo brano, Name For You, che non è mica poi una rivoluzione.
Però che bello.



Gorillaz Feat Benjamine Clementine - Hallelujah Money

L'anticipo di un atteso ritorno: un nuovo disco per i Gorillaz, che presentano per ora un primo singolo particolare, una ballatona lenta che sa di duetto tra il nostro amatissimo Benjamin Clementine e il buon vecchio Damon. Un brano con il sapore di un vecchio classico, diverso dal suono di pop moderno a cui la band ci aveva abituati. In attesa!





Propaganda - Stagione 2, Episodio 3

La puntata numero tre di questa stagione è stata densa di musica. Musica e novità e qualche parola nel mezzo, per presentarla e raccontarla...