Sono passati tanti anni, davvero tanti.
Era il periodo in cui iniziavo a
correre con uno dei primi Ipod.
La Nike aveva creato questo piccolo
sensore, costo ventinove euro, che inserito nella scarpa restituiva
tutti i dati sulla propria attività.
Aveva anche chiesto ad un nascente
James Murphy, conosciuto come Lcd Soundsystem, di creare una colonna
sonora per una corsa.
Lui aveva prodotto 45:33, dal
minutaggio della traccia, una specie di suite in varie parti che
accompagnava riscaldamento, corsa e defaticamento.
Fu persino criticato, Murphy: venduto,
gli dissero.
Che pure fosse un esperimento di grande
qualità e che nascondesse i semi del successivo album, Sound Of
Silver (Someone Great, ad esempio) passò inosservato.
Ma quel momento, quelli di poco
precedenti e quelli di poco successivi sono esattamente il centro
della vicenda di Lcd Soundsystem, tornato otto anni dopo in Piazza
Castello.
E' raro che una band che fa “ballare”
sia tanto politica.
Ma il progetto sonoro di Murphy in
qualche modo stride con la sua essenza interiore.
Ora, otto anni dopo, lo scioglimento
dopo quel tour, l'incredibile serata di addio, la lunga pausa e lo
strepitoso ritorno con American Dream raccontano il percorso umano di
una persona destinata a lasciare il segno su un inizio di millennio.
E per quanto molti fossero dentro alla
piazza per i bassi, la batteria, le note veloci di piano di All My
Friends, scontata quanto perfetta chiusura, l'essenza stessa della
piazza sapeva che la serata era il concerto di un autore, di più, di
un uomo.
Il concerto di Ferrara, visto per una
qualche fortuna da molto vicino è stata la celebrazione incerta e potente
di qualcosa di interiore.
Di una band che ti fa ballare con un
brano, You Wanted A Hit, che recita: “volevi una hit / ma forse non
facciamo hit”.
Di un uomo che non ha una voce o un
fisico da frontman, che pare dire la prima cosa che gli salta in
mente perchè la sua dimensione naturale è quella della composizione in studio, lontano da un palco.
Che schiva l'essere divo proteggendosi
con la band, un bicchiere di vino, una pausa al bagno.
Ti trasmette fragilità mentre ti fa
ballare.
Ti trasmette tristezza mentre urla.
Ti trasmette emozione mentre si lascia
andare, si avvicina al pubblico, sale sulle casse, si espone
lasciandosi trascinare dall'interiorità, spogliandosi un attimo
dalla goffagine, dal calore, dal magma sonoro prodotto.
In questo senso non c'è diversità da
quei brani in cui il cantante, andiamo sul facile, Thom Yorke, va al
piano e suona solo, con il proprio pubblico, nudo e fragile.
Pure se qui sul palco di persone ce ne sono sette
o otto, tra torri di cavi, batterie, tastiere, microfoni, tutto vibra
senza eccessiva perfezione tecnica, ma senza che questo sia importante.
E' tutto nell'essere generazionale:
Murphy ha inventato un suono, ha suonato musica elettronica e
composto ballate, si è avvicinato a Bowie, si è immerso negli anni
ottanta o settanta, ha deciso di spegnere il progetto quando non lo
ha sentito più vitale (o è semplicemente rimasto sopraffatto dalla
grandezza che aveva preso) e poi lo ha rianimato, attuale quanto
derivativo, personale quanto debitore.
Spesso, la musica che fa danzare non ha
un contenuto politico o personale.
Eppure, la sensazione è che per molti,
in quella piazza, i brani significassero qualcosa di più del
divertimento.
Così, nonostante o forse grazie ad una
scaletta assolutamente non scontata, non banale, non vicina ai gusti
del pubblico ma concentrata sul proprio progetto, la gente era
felice.
Ballava, si spingeva poco, saltava con
gli altri, si sorrideva, viveva assieme il rito, con pochi
giovanissimi, è vero, perchè questi tempi hanno altri suoni, ma con
un fuoco sparigliato tra i venti ed i quaranta, quarantacinque anni,
con la testa lontana dai vicini temporali, scacciati come per
miracolo, piace pensare, dalla bellezza stessa di una piazza magica,
chiusa, che avvolge come un guanto, il palco davanti, il castello
dietro in queste sere che capitano, a Ferrara, d'estate.
Io, sul palco, non ho sempre visto in
James Murphy la gioia di vivere e di suonare.
Io, da vicino, ho letto fragilità,
fatica, esaltazione e paura, ho letto distacco e concentrazione,
mestiere e estasi sonora, ho percepito la sofferenza dell'essere e la
voglia di rispondere alle sfide della vita.
Come se questa seconda vita fosse
migliore della precedente, come se Lcd Soundystem, otto anni fa,
fosse un treno in corsa di un musicista e Lcd Soundsystem, oggi, sia
invece la propria risposta a sé stesso.
You Wanted a Hit, inizia, dicendo che
non le scrive le hit.
All My Friends, finisce, nutrendosi di
questa energia per andare avanti, lasciandoci felici, colpiti, con la
polvere sotto i piedi di una piazza che ha ascoltato un concerto non
sempre perfetto e proprio per questo, profondamente importante.