Mi sono venuti in mente mille incipit per iniziale, da quello cronologico, a quello emozionale, da quello che ti butta direttamente dentro al picco della serata.
Vanno tutti benissimo.
Ma sarebbe solo mestiere scriverne così.
In fondo, invece, bastano sei lettere per descrivere il live: classe.
Classe nella voce di Beth Gibbons, simbolo del gruppo, allo stesso tempo dolce e timida (si rivolge al pubblico solo quando canta, in ogni altro momento strumentale si gira verso il gruppo e dà le spalle alla platea) e poi rock, sensuale, infinita, nei momenti più intimi come in quelli più aggressivi.
Classe nelle scelte visuali e sonore della band, che se per immagini proiettano a volte piccoli clip video, a volte immagini della band, a volte il nulla (e vuol solo dire di guardare il palco) mentre a livello sonoro segnano (e questa è la grande differenza tra i due primi album e Third) la digitalità del suono.
Che vuol dire che se i pezzi vecchi hanno ancora quel sapore tra il jazz e il trip-hop, quelli nuovi, ancora di più sono elettronici ed elettrici, impetuosi, come quella Machine Gun sparata a volumi altissimi che segna il picco emozionale (come intensità) della serata, trasformando in piedi la band in Bristol negli eredi dei Kratferk, con quella capacità di suonare futuristici eppure essere sè stessi fino in fondo.
Classe che vuol anche dire reinventarsi: così, quella Wondering Star, suonata praticamente solo voce e linea di basso (e che linea), in quella che per i Portishead probabilmente è la versione unplugged e che segna il momento invece più intimo della scaletta.
Classe vuol dire poi ancora due cose: poter suonare quasi come su disco e non soffrirne, vista l'enorme qualità dei pezzi e soprattutto produrre un live che sale e scende sul suono stesso: mi spiego, vive il suo corso non per pezzo bello / pezzo meno riuscito, ma per bordate sonore e rientri più delicati, così sul finire, nel bis, Roads suona semplicemente come suona Roads, senza impeto, scorre leggera e subito dopo We Carry On si eleva, suona davvero a qualche decibel in più e ti arriva, come altri, dritto nello stomaco in tutta la sua forza mentre d'improvviso Beth scende tra le prime file ed ha lo sguardo (è un attimo) di chi ringrazia il pubblico e non di, come di solito, si scende per prendersi i ringraziamenti da esso.
Così, è un grandissimo live di una band enorme e probabilmente senza eguali.
Ci sono i Portishead e non ci sono emuli o antenati, solo vicini e qualche affine.
Così li ringraziamo e ringraziamo anche Indipendente (ormai Vivo) per la bella location, le mura di un castello che custodiscono un grande prato, un luogo dalla bella acustica e popolato da un pubblico finalmente maturo, bendisposto e adeguato alla situazione.
Che sia stata una grande serata lo si è capito, il consiglio, per chi non c'era è solo uno: se vi capita la possibilità, almeno una volta, vedeteli live.
- Silence
- Hunter
- Nylon Smile
- Mysterons
- The Rip
- Sour Times
- Magic Doors
- Wandering Star
- Machine Gun
- Over
- Glory Box
- Chase the Tear
- Cowboys
- Threads
- Roads
- We Carry On
Bellissima recensione, complimenti. Rispetta perfettamente l'atmosfera e la scelta delle sonorità che i Portishead hanno regalato al loro pubblico.
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