martedì 10 luglio 2012

Ascolti: Conor Oberst And The Mystic Valley Band - One of My Kind


Credo che il fatto più significativo per introdurre questa recensione sia un fatto: usando Itunes, nella finestrella di ricerca in alto, ho scritto Bright Eyes.
Ho scorso i titoli, non ho trovato l'album nuovo di Conor Oberst, ho ricontrollato il titolo, pensando ad una dimenticanza, ho riguardato tra i file.
Poi, il flash: non era il nome giusto.
Conor Oberst, dovevo cercare.
In questo caso Conor Oberst And The Mystic Valley Band, che non è niente di diverso (in fondo) dell'ennesimo disco di quello che è stato per vari anni uno dei miei cantautori preferiti, questo (ormai poco più che) trentenne americano, capace di un esordio a tratti fulminante a diciotto anni, di un capolavoro a venti ("Fevers And Mirrors") e di almeno un altro importantissimo momento, al culmine della sua produzione artistica, il doppio album nel 2005, "I'm Awake It's Morning" (acustico, vintage, delicato) e "Digital Ash in a Digital Urn (iperprodotto, epico, intelligentissimo, sottovalutato).
Oberst da quel momento ha esaurito le sue carte migliori.
Certo, nei (vari) dischi successivi qualche bel momento lo si è sempre trovato ma una volta riciclatosi a cantautore di stampo classico, ha perso il guizzo e non ha caso il nome è scivolato sempre più indietro nell'interesse collettivo.
Doveva succedere, certo, in uno che a trentanni ha all'attivo ben più di dieci dischi e infinite collaborazioni, in pratica un ragazzo che da quanto è diventato maggiorenne scrive, produce, va in tour e sembra avere nell'ego e nella pomposità le sue caratteristiche, come in quei primi splendidi album dove in ognuno c'era un pezzo palesemente troppo (senza aggettivo, troppo e basta) , c'era l'autointervista, c'era la lettera recitata.
Conor Oberst, quando era Bright Eyes, era una stella.
Quando era Bright Eyes è venuto due volte a Ferrara Sotto le Stelle, mettendo in piedi due ottimi concerti, facendo emozionare sia nel suo essere voce e chitarra sia nei momenti più elettrici in cui c'erano due batterie e almeno altre otto o dieci persone a suonare tutto quello che gli passava per la testa.
Ora poi, capire cosa sia questo One of My Kind mi è stato difficile.
L'ascolto mi aspettava da un pò e qualche momento mi ha coinvolto, ad esempio Synestete Song, quando il drammatico finale e la voce lievemente rotta ricorda i momenti migliori, come se d'improvviso quella viscerale emozione giovanile di qualche anno fa sia tornata.
O Breezy, voce e pianoforte, di rara bellezza.
Poi partono altre voci e altri stili. Che magari non sono nemmeno pezzi brutti ma dicono poco (o forse non sono quelli che voglio ascoltare).
E quindi cosa è questo album? 
Una raccolta di b-sides dei due album composti da Oberst con la band, nata per caso perchè il tecnico della chitarra invece di fare il suo lavoro ha fatto un documentario sul lavoro e la nascita della band.
Troppo pure per dargli troppo tempo (e invece di righe ne abbiamo lasciate abbastanza) in questa calda assolata, non troppo per non sentire qualcosa del tempo che fu nei pezzi numero 4 e 5 e sperare che il futuro sia dei migliori, fosse anche solo un canto del cigno, un disco del futuro Bright Eyes, il disco definitivo che non ha ancora fatto e che non possiamo perdere la speranza che riesca a scrivere.


Conor Oberst - Breezy 




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