lunedì 18 marzo 2013

[Serie Tv]: House Of Cards




Scelgo di recensire, o meglio di trattare riguardo a House Of Cards poco prima di vedere la puntata che ne conclude la prima stagione.
E’ una scelta consapevole, per avere in comune con l’eventuale lettore ignaro un telo nero a nascondere il probabilmente emozionante finale che finale non potrà essere.
Forse, quando arriverà in Italia, House Of Cards verrà trattata come una qualunque serie televisiva.
Cosa che non è, o meglio non del tutto, essendo la prima produzione originale ad ampio budget (100milioni di dollari!) di Netflix, gigante dello streaming americano che quindi non solo fa uscire la serialità dalla televisione ma addirittura rende la serie subito disponibile, completa di tredici episodi vicini all’ora di durata.
Niente slot di ascolti, niente rating di pubblico, niente pause/premiere/finali di stagioni, tutto è lì, da un giorno all’altro, come fu per In Rainbows dei Radiohead.
Ma questa è analisi del come, mentre qui si vuol parlare del cosa.
E cosa è House of Cards?
Non è, se non in minima parte, il palcoscenico di definitivo pareggio (sorpasso?) della televisione sul cinema, con episodi diretti da David Fincher e Joel Schumacher e soprattutto da una gigantesca interpretazione di Kevin Spacey.
House of Cards è un attualissimo (e violentissimo, in questo senso) sguardo all’oggi, all’etica dell’oggi.
Di più: è un viaggio infernale nella mancanza di valori dell’oggi.
Non con quell’autocompiacimento, quella cosa un po’ Movimento 5 Stelle “Fa tutto schifo, cambiamo tutto” no, qui c’è il “così vanno le cose qui.”

Ambientata tra politica e società, tra Casa Bianca e incursioni domestiche, la serie narra fondamentalmente del lungo percorso di Frank Underwood (Spacey) dalla mancata nomina di segretario di stato in poi.
Non sappiamo molto del prima.
Dopo, però, con spietato realismo seguiamo la silenziosa vendetta di Frank, nella riconquista del potere.
Ed è il potere il percorso affrontato puntata per puntata.
Potere di carica, potere per età, potere per seduzione, potere per interesse.
Assoluzioni: nessuna.
Non è assolta Zoe, affascinante giornalista che imbastisce un gioco tra seduzione e interesse lavorativo con Frank, perdendo ogni brandello di stima per sé stessa e del lavoro che fa.
Non è assolto Peter Russo, rampante candidato ex (?) alcolizzato, sfruttato da Underwood per una gloria immeritata e che quando, però, prende coscienza di sé e sembra diventare uomo, fallisce la prova più semplice, in apparenza (quella d’amore) rovinando sé stesso e la propria carriera fino ad una spirale di autodistruzione.
Non sono assolti i vari politici, mostrati deboli, ricattabili o ricattatori, né i giornalisti,l’opposto di quelli di The Newsroom, qui arrivisti, faziosi o almeno disinteressati alla morale di quello che fanno.
Non lo è, infine, nemmeno Claire, moglie di Underwood, in apparenza comprensiva, dura quanto basta, vicina al marito e poi invece, anche lei, infedele, infelice, non meno inaffidabile.

Non  a caso non ci sono bambini, in tredici ore di sceneggiatura, se non di sfuggita i figli di Russo.
Tranne forse lei, Zoe, a cui Francis chiede di chiamare il padre nel giorno della ricorrenza, e che chiude la telefonata tra i gemiti del sesso orale che lui le pratica, mentre lei risponde “ma tu non hai figli” e lui, diabolico, sussurra “davvero non ne ho?” prima di ributtarsi sul suo corpo.
E non lo puoi ammirare, Underwood, si incisivo, efficace, oratore,scaltro, si tutto questo ma quanta oscurità si muove in lui?
Interpretato sontuosamente da Spacey, Frank Underwood, spiega, alla telecamera, in un meraviglioso gioco meta-televisivo, le macchinazioni, i personaggi, la sua filosofia di vita.
A volte, dopo una frase importante, giro il ghigno verso la telecamera, solo un’occhiata, parla a te, spettatore, rendendo forse mai come prima d’ora protagonista aggiunto, complice e per questo, puntata dopo puntata, ti si conficca nel petto, con tutta la sua tragica violenza, (quasi) sempre celebrale, spesso disumana.

E’, House of Cards, uno degli show più realistici mai scritti, mostrandoci una politica di compromessi, di favori, le necessarie utilità di comodi, raccontandoci (vedi Girls) delle disfunzioni dei sentimenti in una società aliena che spazza via tutto, dove in basso si chiede giustizia e lavoro e in alto si sogna potere, tanto potere.

Uno sguardo che fa male, ma è necessario.
In un’epoca fatta spesso di personaggi televisivi malvagi ma affascinanti e con moralità diverse (Dexter? Benjamin Linus di Lost?) in questo torbido non c’è risalita, luce, sogno, innocenza.

E quindi, si, ferisce , House of Cards, proprio come la realtà, proprio come lo sguardo tagliente di Frank, rivolto a te spettatore.
Ma non guardarlo sarebbe chiudere gli occhi verso un mondo.
Il nostro. 

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