Esattamente vent'anni sono passati dalla pubblicazione del primo disco a nome The Chemical Brothers.
Impossibile, per chiunque, in quel momento pensare a vent'anni dopo, un nome ancora nel pieno della propria attività, impossibile pensare ad oltre diecimila persone a Roma, armate di selfie stick, Go Pro e probabilmente qualche pasticca di decennio ormai passato in archivio.
Impossibile, per chi scrive, immaginare, fino a poco tempo fa, nemmeno di poter partecipare, con un veloce treno che in due ore percorre Bologna e si arrampica a Roma, veloce come le note che i fratelli chimici buttavano su disco già vent'anni fa.
Eppure eccoci qua, scelta Roma per contingenze di turni e per un opening act particolare, rispetto alla più vicina Padova, aggiungiamo l'ippodromo delle Capanelle alla lista dei luoghi visitati per un concerto.
Non male, l'arena, ben organizzata rispetto al solito standard italico e capace di garantire un discreto respiro anche un pubblico ampio come questa sera.
Opening Act, si diceva.
Archiviati i salentini Moods, per niente male, in arrivo a breve col primo disco, capaci di far intuire un buon impatto sonoro (si vedrà); ci sistemiamo sotto il palco per la prima uscita in Italia di Flume, australiano di cui si è parecchio parlato per il disco d'esordio.
Inserito in scaletta in sordina, ben poco chiaccherato, alto è invece l'interesse per una esibizione abbastanza riuscita.
Ovviamente difficile, in un'arena così vasta, conquistare con un djset a ritmo medio, ma non si fa dispiacere il ragazzo: visual anni novanta dietro e una grande cassa sotto la strumentazione tengono il ritmo di pezzi nuovi e vecchi, confermando tutte le proprie qualità (bello anche l'inedito di questi giorni Some Minds)
In attesa di un contesto più piccolo (vedi alla voce un piccolo club, qualche centinaia di persone e bassi potenti) sale l'attesa per una band che, invece, si esalta nelle grandi arene.
Che poi si è detto band, ma è un duo; si è detto un duo ma c'è solo Tom Rowlands, affiancato per questo tour da Adam Smith, colui che cura la parte visiva dello show.
E che è, inevitabilmente un ingrediente fondamentale della ricetta Chemical Brothers dal vivo.
Luci, visual, uno spettacolo grafico prima ancora che sonoro: questa è l'esperienza.
Che possa piacere o meno, diversissima per chi è abituato agli strumenti suonati, ma non meno coinvolgente.
Perchè l'attitudine è live, eccome, una scaletta studiata, un'apertura da boato e per rompere il ghiaccio (Hey Boy, Hey Girl) salti e balli che si diffondono per una buona mezz'ora.
La cosa che stupisce è il dopo: tutto tranne che paraculo, si potrebbe dire.
Tra pezzi nuovi, divagazioni, momenti dilatati, nella parte centrale lo show dei Chemical si permette di rallentare i ritmi, fare pensare oltre a ballare, consente a qualche tamarro di accennare un "dajjje e pppommpaaaa".
E invece no, si rallenta, per riesplodere solo successivamente, concludendo con Under the Influence / Galvanize / Music Response / Block Rocking Beats che spostano nuovamente l'asticella verso il livello "delirio generale".
Una lunga outro, The Private Psychedelic Reel è l'altra eccezione che stupisce, per niente semplice e in tendenza contraria al classico finale di concerto che prevede una qualche hit largamente attesa a chiudere.
E se in un live "normale" questo sarebbe un punto d'onore, in questo caso è una piccola pecca.
Perchè, diciamolo: quando esplodono i pezzi migliori, grazie anche ad uno spettacolo visuale raro da trovare altrove, l'esperienza The Chemical Brothers è, vent'anni dopo, tra le cose migliori ancora su questa terra, se si vuole chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Giudizio positivo, insomma, pari alle alle (alte) aspettative
P.s. Sometimes i Feel So Deserted, con la voce di St. Vincent si candida facilmente ad essere un nuovo classico nella discografia della band.
IL NEGOZIANTE - Consigli non richiesti su tutto che si possa definire interessante in questo mondo
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