domenica 25 maggio 2014

[Ascolti] Damon Albarn - Everyday Robots


Una gradita, inaspettata sorpresa.
Perchè è giusto dirlo: è abbastanza raro che un disco solista, per giunta di un personaggio così importante, sia davvero bello. Una penna quella di Damon Albarn che si è mossa nelle più disparate direzioni in questi anni: se non è necessario dire niente sui Blur, non sono da dimenticare le parentesi riuscite e sperimentali dei Gorillaz, l'interludio del progetto estemporaneo The Good, The Bad And the Queen, gli esperimenti a contatto con l'Africa (il Mali Music di inizio millennio).
Progetti diversi per quello che più di tanti altri è un grandissimo autore di canzoni e che a guardare indietro ha prodotto, a nemmeno cinquanta anni, una discografia capace di farlo entrare nel novero dei grandi.

Evidentemente però, anche per Albarn è arrivato il momento di inserire la propria firma davanti ad un disco. Archiviate così le costante voci sul ritorno dei Blur (concretizzato solo live e in un pugno di singoli) l'ormai ex ragazzo di Londra si circonda di alcuni amici vecchi (Brian Eno) e nuovi (Natasha Khan, delle Bar For Lashes) e scrive un disco sorprendentemente riuscito.
Pulsazioni digitali, ritmiche di quell'Africa mai amata, un intimismo che ricorda un pò il sottovalutato Think Thank dei Blur.
Un battito che non si spegne per tutti i primi quattro brani: quasi dubstep nella traccia che dà titolo al disco, dilatato nella splendida ballata Hostiles, rilassato in Lonely Press Play e infine scanzonato nella irresistibile Mr Tembo, primo ma non ultimo brano a ricordare quella Tender che continua ad essere amata da chiunque la conosca.
Non ultimo perchè non si può dimenticare la conclusiva (si direbbe un duetto con Eno, ma è più una corale) Heavvy Seas Of Love, che conclude nella maniera migliore il disco.
Nel mezzo momenti ancora rallentati (The Hystory of a Cheating Heart è la zampata voce, chitarra e orchestrazioni di un grande scrittore di canzoni) e la totale assenza di riempitivi.

Così, per tornare all'incipit, ci si ritrova piacevolmente sorpresi di poter scrivere di questo primo disco solista dall'ingombrante nome come di uno dei più belli di questa prima parte di annata musicale.



1 commento:

  1. Ok, cercando online ho visto che Bongley Dead è una band italiana. Qualche parola di commento a questo link? :-)

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