martedì 13 maggio 2014

[Ascolti] The Black Keys - Turn Blue


Ottavo album in dodici anni per i Black Keys.
Il duo formato da Daniel Auerbach e Patrick Carney ha svoltato con un un-due che, se stessimo parlando di sport, avrebbe steso l'avversario: Brother e El Camino erano infatti due gemelli partoriti in un momento di estasi creativa, baciati dalla produzione di un Danger Mouse in grado di perfezionare il suono dei duo e culminati in una serie di singoli capaci, per fortuna, di raggiungere un pubblico enorme.
Così se già un piccolo pubblico li aveva imparati a conoscere (già il precedente Attack & Release aveva colpito la nicchia indipendente) ora, oggi, i Black Keys sono una delle più importanti rock band del globo, senza se e senza ma.

Responsabilità capace di pesare, un fardello di aspettative per una band con il limite oggettivo (o apparente) di essere ridotta a due elementi.
Devono essere accorti anche Daniel e Patrick che scrivono un album diviso a metà tra crescita e continuità.
Che si voglia espandere il discorso musicale verso una direzione maggiormente dilatata, a tratti quasi psichedelico e molto anni settanta lo dimostra già l'imponente incipit di quasi sette minuti, quella Weight of Love che pure convince e si avvolge sinuosa sino ad un crescendo chitarristico, pronto da gustare live quando possibile.
Poi le chicche: In Time è uno di quei pezzi che potevano stare (è un complimento) nei dischi precedenti, seduce come seduce, in fondo, Fever, primo singolo che dopo un primo impatto così così si mostra nella sua natura di perfetto brano catchy, pronto a piantarsi in mente.
La fortuna dei Black Keys è che quello che sanno fare, lo fanno come forse nessun altro questo momento: così il dialogo semplice quando studiato tra chitarra, basso e una batteria d'assalto colpisce e rimane nei territori più conosciuti anche con la successiva Year In Review. O, un pò dopo, nella quasi punk It's Up For You Now che con 10 Lovers chiude quella parte di cd che, pur con la discriminante del già sentito, si fa amare.

Il resto invece convince per metà: tra qualche mezza ballata di discreta fattura (Turn Blue, Waiting For Words) e una conclusiva Gotta Get Away che fa un pò storcere il naso, corpo un pò estraneo, a concludere un disco ancora una volta perfettamente prodotto, coraggiosamente almeno in parte capace di muoversi in direzioni diverse da quelle passate.
Un disco leggermente inferiore a El Camino e (ancor più) Brothers, ma allo stesso tempo una conferma.
Perchè, lo si diceva, certi pezzi, come li scrivono i Black Keys, li sanno scrivere solo loro oggi.

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