lunedì 18 maggio 2015

[Ascolti] Mumford And Sons - Wilder Mint


Con metodica precisione, prosegue la carriera dei Mumford And Sons.
Un album, dopo tre anni il seguito, dopo altri tre anni, eccoci a Wilder Mint, in tempo per festival estivi e grandi platee.
Ancora: un esordio tutto sommato originale, vibrante, con il banjo a dipingere le melodie.
Un secondo sulla falsariga, qualcosa che si potrebbe facilmente descrivere come "more of the same", una ricetta inalterata, leggermente meno convincente per l'ovvia mancanza dell'effetto novità.
E ovviamente, il grande successo di pubblico, anche in Italia.
Il motivo per cui spesso si arrivi ai grandi numeri e palcoscenici solo in un secondo momento, con i dischi meno ispirati, è di difficile comprensione (a meno di ripiegare sulla necessità di approdare sui grandi network, mentre nell'ambiente già magari si è passati a nuove big sensation, in una sorta di cambio di testimone).

Fatto sta che per la vera regola musicale di questi anni è il terzo album quello capace di fare capire cosa potrà essere una band.
Coraggiosi, dunque i Mumford And Sons. Che rinunciano al loro tratto distintivo, il banjo, superano l'atmosfera (se si può dire) indie-folk.
E diventano rock band. Da stadio.

Fin troppo semplice arrivare a questo dato e comportarsi con pregiudizio, fin troppo facile segnalare (le evidenti) ispirazioni a cui il gruppo inglese ha guardato.
La vera domanda è la tenuta musicale, la scrittura.
E in questo senso bisogna dire che Wilder Mint non è male.
Protagonista la voce di Marcus Mumford, di rara intensità, protagoniste chitarre e di tanto in tanto (vera novità) la batteria), si apprezza lungo le tredici tracce una media qualitativa affatto scarsa.
Prendiamo l'incipit: Tompkins Square Park (ok, si, pare un inedito dei National, ok, l'abbiamo detto) è poderosa e programmatica, a chiarire che il cambio stilistico non penalizzerà l'intensità emozionale.
Believe parte con qualche brivido (di timori..) ma si scioglie in un finale che renderà felici tutti dal vivo.
Rock band, si è detto: lo conferma The Wolf, secondo singolo bravo a dimostrare che la penna della band è ancora in forma.
Se dopo si rallenta un pò è solo nei ritmi, ci si mantiene su livelli apprezzabili fino a Snake Eyes che è un altro ottimo brano (e ricorda la forza di Little Lion Man).
Buona anche la chiusura: Hot Gates è il crescendo epico, la ballata che viene facile immaginare a chiusura di un live, con il pubblico a seguirne le note.

Non male insomma, davvero.
Wilder Mint riesce (vero Editors del terzo album?) a cambiare atmosfere e suoni, pur mantenendo attitudine e buona scrittura. I Mumford and Sons sono oggi diversi, ma piaceranno allo stesso pubblico.
Forse anche a qualcuno di più.

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