IL NEGOZIANTE - Consigli non richiesti su tutto che si possa definire interessante in questo mondo
martedì 5 maggio 2015
[Ascolti] Blur - The Magic Whip
Caso strano quello dei Blur.
Una band di cui si è scritto molto: il grande ritorno, la reunion, il disco che aleggiava da anni.
Come se la band si fosse spenta, separata.
Vero, da una parte, visto che l'ultimo disco (il sottovalutato Think Thank) è datato 2003, ben dodici anni fa.
Vero anche, però che di Blur non si è mai smesso di parlare.
Damon Albarn ha pubblicato con i Gorillaz (2001, 2005, 2010) con i The Good, The Bad And the Queen (2007) e a proprio nome, con l'ottimo Everyday Robots (2014).
Coxon, poi, aggiunge i propri album solisti (2004, 2006, 2009, 2012).
E poi i Blur, a proprio nome: il primo concertone evento (2009), un singolo (Fool's Day, 2010) e un altro ancora (Under the Westway, 2012).
Insomma, diciamolo: non se n'erano mai andati.
Si erano solo allontanati, esplorato e curiosato, sperimentato (Albarn) o continuato ciò che amavano fare (Coxon).
Ma il brand Blur è troppo forte e continua ad accrescersi, l'esatto opposto della nemesi della band, quegli Oasis che guardano al passato con nostalgia e a due carriere parallele mai piene di soddisfazione.
I Blur, invece, sempre loro stessi, talentuosi, meno immediati ma vincenti sulla distanza.
Tornano con The Magic Whip, insieme di abbozzi e registrazioni, rimaste nell'aria per anni e poi finite, dodici tracce per un album che non aggiunge nemmeno tanto alla storia della band.
Non fosse che si tratta di un altro ottimo album.
Un greatest hits non programmato: il brit pop suona forte nell'apertura di Lonesome Street (potrebbe essere un estratto di Parklife) così come in I Broadcast e in un pezzo che potrebbe facilmente diventare un piccolo, innocente classico come Ong Ong.
Ma c'è anche tanto dell'Albarn solista, le ballate lente e soffuse come New World Towers o Mirrorball.
E non mancano le sperimentazioni, le imperfezioni, quel qualcosa di sghembo: Ice Cream Man e il suo incedere su una giocosa base elettronica e il lievemente tono epico di There Are Too Many of Us.
Forse, ecco, si, manca qualche brano destinato all'immortalità, una Song 2 o una Tender.
Ma c'è un altissimo livello medio, una conferma di una abilità rara nel piegare pop e rock nella propria direzione.
E la certezza di una band che, come si era scritto, non se n'era mai andata.
E' sempre stata qui.
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